Secondo gli originari principi del Movimento gli attivisti dovevano lavorare nei territori, nelle proprie comunità. Tutti insieme sceglievano le persone migliori e si facevano carico delle campagne elettorali. Gli eletti si impegnavano per due mandati, poi dovevano tornare a casa e mettere la loro esperienza a disposizione degli altri.
Questi i valori proclamati, i valori che avevano suscitato nuovo interesse per la politica, i valori che il Garante doveva custodire.
Invece il Movimento 5 Stelle si è ritirato dai territori. La prospettiva di un’evoluzione democratica è svanita presto, forse non era mai stata in programma ma non conveniva dirlo. La democrazia del Movimento si è fermata alle votazioni on-line.
Il nuovo statuto scritto da Giuseppe Conte insiste nella disorganizzazione locale. Sopprime i gruppi locali (art. 25, lettera C), cita vagamente Gruppi Territoriali che possono tutt’al più presentare proposte al vertice (art. 6).
Come si può pensare di rimanere una forza politica nazionale lasciando i territori agli altri partiti? Tutte le battaglie elettorali si combattono nei territori, sembra persino stupido ricordarlo. Soltanto un consenso diffuso può permettere le grandi riforme di cui il Paese ha bisogno.
I sondaggi dicono che il Movimento avrebbe perso più della metà dei voti ottenuti nelle elezioni politiche del 2018. Nessuno si è assunto la responsabilità di questo declino. Grillo e Conte sembrano puntare più che mai sul partito virtuale, e sbagliano ancora perché il partito virtuale si brucerà in breve tempo come tanti altri partiti di carta. A meno che l’obiettivo 2050 del nuovo simbolo dei 5 Stelle non sia l’ennesimo slogan che cela fini meno lungimiranti: quello del Garante di rimanere tale a vita, quello del Presidente di passare otto anni in Parlamento galleggiando sull’astensionismo e sul debito come fanno i politici italiani da decenni.
Andrea Pirro
SETTE ANNI DOPO
Quelli che nel 2014 erano attorno al palco di Cagliari dove Beppe presentava i candidati alle elezioni europee dovrebbero avere tutti gli elementi per giudicare quanto è accaduto dopo. Il video dell’evento è su YouTube: è facile rinfrescare memoria. Ci sono portavoce e candidati schierati dietro Beppe che dice di conoscerli e di apprezzarli uno per uno, dice che il M5S inserirà in Costituzione il vincolo di mandato, che l’adesione all’euro la devono decidere gli italiani con un referendum e non i cazzoni dei partiti.
Sono passati sette anni da allora. Com’è andata? Il Movimento non si è mai battuto per l’inserimento del vincolo di mandato in Costituzione. Il Movimento non ha mai compiuto i passi necessari per l’indizione di un referendum sull’euro. La maggior parte dei portavoce e dei candidati che erano su quel palco sono usciti dal Movimento o ne sono stati espulsi insieme a 96 parlamentari. (Chi sarebbero i cazzoni? Quelli che sono usciti o quelli che sono rimasti?).
Sette anni dopo è pesante il fardello di contraddizioni e battaglie sbagliate, ma nessuno si è mai preso la responsabilità né degli errori, né del crollo dei consensi.
Il Movimento decide di ritornare ad una guida collegiale. Decisione sacrosanta, presa dall’assemblea on-line. Ma poi, come se nulla fosse, elegge un presidente, il professor Giuseppe Conte, con una votazione bulgara a candidato unico.
Questa la storia del Movimento negli ultimi sette anni. Nuda e cruda. Quelli che erano attorno al palco del 2014 non possono non vedere che il Movimento è il partito personale del Garante, confermato in carica a vita dal nuovo statuto. Il Garante, dopo i consueti tentennamenti, ha scelto di affidare la sua creatura ad un nuovo primattore. Lo spettacolo deve continuare.
E’ tutto così chiaro! E mi sembra strano trovare ancora nelle chat, unici luoghi di confronto che sopravvivono nei territori abbandonati dal Movimento, le persone che conobbi intorno al palco del 2014: i nemici del professionismo in politica, i cultori della democrazia dal basso.
Veramente sono le stesse persone?
Il pensiero corre agli sfortunati candidati bruciati sulle graticole dell’era giacobina del Movimento, agli ingenui idealisti che misero in piedi sedi fisiche di dibattito e aggregazione. Carne da macello.
Fino a quando una LEGGE SUI PARTITI non farà del partito un luogo fondato su regole e responsabilità d’interesse generale, comuni a tutte le forze politiche, fino a quando una LEGGE SUI PARTITI non stabilirà che le cariche pubbliche sono l’opportunità di dedicare la propria vita al bene comune per un periodo limitato, la politica italiana sarà lo stesso teatrino inconcludente.
Andrea Pirro
L’ILLUSIONE DI PARTECIPARE
Gli iscritti del Movimento 5 Stelle hanno votato per nominare i componenti del Comitato di Garanzia e per la sostituzione di un membro del Collegio dei probiviri. La scelta era ristretta alla rosa di nomi proposta dal Garante, secondo la regola del nuovo statuto. Il risultato della votazione è noto.
Dico: che senso ha questo riciclare pv e famosi? Sembra che il Movimento sia una casa privata dove possono entrare soltanto personaggi pubblici. Una casta, direbbe un maligno. I ricordi corrono al disdegnoso rigore che lo “staff di Beppe Grillo” riservava alle candidature locali. Oggi sappiamo che il misterioso staff non è mai esistito, mentre sono realtà le sviste enormi, gli strascichi legali, la ritirata generalizzata dai territori e il conseguente crollo dei consensi di cui nessuno si è mai preso la responsabilità.
Nel Movimento ho incontrato tante persone. Erano tutte trolls, mezze calzette, cacciatrici di poltrone? Non credo. Di una cosa sono certo: aspiravano a ben altra partecipazione, non volevano essere spettatrici del solito teatrino della politica italiana.
Questo è il grande tradimento.
Dopo quindici anni di illusoria partecipazione che fare? Non possiamo neppure arrenderci davanti ad un televisore perché lo schermo ci renderebbe tutto quello che avremmo voluto combattere, a cominciare dalle reti RAI, luogo dove i partiti si alleano nello sperpero più sfrontato.
Andrea Pirro
L’INVENZIONE DEL PARTITO
L’ART. 49 DELLA COSTITUZIONE
L’articolo 49 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che i cittadini hanno diritto di associarsi in partiti per concorrere a determinare la politica nazionale. La Costituzione individua dunque la figura del partito politico come associazione di cittadini. Questa figura poteva essere precisata, ma i padri costituenti decisero di astenersi dal regolamentare i partiti per garantire la massima libertà all’associazionismo politico e limitare il potere d’intervento della magistratura nella loro vita interna.
Dunque nella Costituzione della Repubblica Italiana mancano di proposito:
una personalità giuridica specifica dei partiti politici; una definizione della loro funzione; princìpi organizzativi, anche solo di massima, cui i partiti politici dovrebbero attenersi.
Qualcuno potrebbe eccepire che l’art. 49 almeno una direttiva la dia: “… i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ma la giurisprudenza è costante nell’affermare che quell’espressione “con metodo democratico” intende ribadire il carattere democratico del sistema politico italiano in generale e non sia da riferire all’organizzazione interna del partito.
Conseguenza importantissima: la magistratura italiana non può sindacare sulla democrazia interna dei partiti per difetto di giurisdizione.
Tuttavia a mio avviso la Costituzione un principio basilare lo detta quando sancisce il diritto dei cittadini di associarsi in partiti. L’associazione di cittadini è una comunità ordinata da regole, non un’adunanza casuale, non un affollamento, non una platea. Le associazioni sono disciplinate dal Codice Civile, ma a prescindere dall’aspetto giuridico che pure è importante, chiunque si avvicini alla politica nel secondo millennio si aspetta di partecipare alla vita del partito con la dignità del socio.
BREVE STORIA DEL PARTITO POLITICO
Nell’antichità il partito nacque come gruppo di fedeli ad una religione. Dalle grandi rivoluzioni del 700 e del 900 sorse l’idea del partito dell’emancipazione sociale. In Italia il Partito Socialista fu fondato nel 1892, fino ad allora destra e sinistra erano cartelli di notabili, ciascuno dei quali disponeva dei voti del proprio feudo. Nel 1919 Don Sturzo fondò il partito popolare, il partito dei cattolici. Partiti furono il Partito Nazionalsocialista tedesco e il PNF, Partito Nazionale Fascista italiano.
Nel dopoguerra dominano in Italia i grandi partiti ideologici, che peraltro lasciano in eredità un enorme debito pubblico.
Da queste sintetiche premesse è facile dedurre che quello del partito è sempre stato un concetto generico: si è dato questo nome ad un gruppo di persone che hanno una visione politica comune. Nelle moderne democrazie rappresentative per partito si intende un luogo di dibattito politico e designazione di candidati alle elezioni.
Ultimamente ha preso piede la cosiddetta democrazia diretta via web. Ma su questa si può subito eccepire che non garantisce l’autenticità dell’associazione, la legalità interna, il rispetto delle minoranze e della dignità degli associati. Forte è il sospetto che il partito della democrazia diretta via web dipenda da un’organizzazione verticistica mascherata.
DENTRO IL PARTITO
Nel nostro Paese ad ogni tornata elettorale si presenta una moltitudine di nuovi partiti. Le leggi italiane non prevedono alcuna verifica sulla loro attività associativa, pertanto accade che molte compagini siano scatole vuote, sigle dietro le quali magari si celano vecchi notabili. Eppure queste scatole vuote propongono candidati al governo del Paese: una responsabilità di interesse pubblico degna della massima attenzione.
Nel 1974 la legge sul finanziamento pubblico dei partiti aprì un varco nel muro che preservava le forze politiche da qualunque controllo: la legge riconosceva che l’attività dei partiti politici meritasse il sostegno pubblico, al contempo mirava a liberarli dai condizionamenti di finanziatori palesi e occulti. All’art. 7 individuava forme di finanziamento illecite, punibili penalmente. La fattispecie del finanziamento illecito diede alla magistratura il destro per “entrare” nel partito e indagare sulle sue fonti di finanziamento. L’inchiesta giudiziaria “Mani pulite” del 1992 svelò che i partiti di area governativa, a dispetto del finanziamento pubblico, estorcevano fondi ai privati oppure si mettevano al servizio di grandi finanziatori.
L’inchiesta “Mani Pulite” rivelò che:
1) alcuni partiti erano occupati da una cerchia ristretta di persone;
2) alcuni partiti ricevevano finanziamenti illegali;
3) alcuni partiti truccavano i bilanci.
Dalla vicenda di Tangentopoli si evince che il partito deregolamentato, la zona franca preclusa alla magistratura, si presta all’insediamento di una casta interna che lo padroneggia e lo sfrutta a proprio vantaggio.
La tanto deprecata casta nasce quindi dentro il partito.
E’ evidente che partiti di questo genere tradiscono la democrazia. Il partito personale, come quello dominato da una consorteria, sono l’esatto contrario dell’associazione rivolta a determinare la politica nazionale.
CIVISMO
Oggi il partito politico è screditato, eppure le aspettative di chi si affaccia alla politica sono alte:
1) contribuire con le proprie competenze e la propria cultura;
2) godere di considerazione senza preconcetti legati all’età, al sesso, alla razza;
3) incidere democraticamente sulle scelte del partito;
4) che nel partito siano rispettate le minoranze;
5) che nel partito sia rispettato lo statuto;
6) che il partito non sia dominato da consorterie segrete.
Queste aspettative possono sembrare scontate nel secondo millennio, ma il partito deregolamentato riserva sorprese. Nessuno dice al neoiscritto come funziona effettivamente il partito padronale. Nessun media metterà in luce dinamiche interne lontane dalle elementari regole dell’associazionismo. Il neoiscritto capirà da solo in quale vespaio è andato ad infilarsi e deciderà se adattarsi o rimanere emarginato.
IL PARTITO LIQUIDO
Il partito liquido e verticistico è oggi considerato una necessità strategica del mondo moderno, dominato dalla comunicazione di massa. Oggi i partiti politici non aggregano persone che aderiscono ad una ideologia e hanno la medesima visione della società. Oggi il partito lancia campagne propagandistiche e su quelle cerca consenso. Il partito della propaganda si muove sui sondaggi, sugli umori del momento, rivolgendosi direttamente all’elettorato. Questo comporta che tenda ad essere sempre più leaderistico.
Il rovescio della medaglia è che inevitabilmente questo genere di forza politica:
1) sminuisce i problemi, evoca soluzioni propagandistiche e demagogiche (ormai molte generazioni di italiani si sono formate nella sottostima dei problemi);
2) tradisce le finalità di interesse pubblico che la Costituzione gli affida, ovvero la selezione responsabile della classe dirigente, la proposta politica di lungo respiro;
3) il partito è sotto occupazione, non è contendibile, ostacola la partecipazione dal basso perché dai territori può emergere dissenso e concorrenza, violando la Costituzione senza che nulla emerga.
LE COALIZIONI ELETTORALI
Le coalizioni elettorali sono un’altra recente distorsione del partito. Le Costituzione individua il partito come l’associazione di cittadini che vogliono incidere sul governo del Paese, ma a un certo punto la politica italiana si inventa le “coalizioni di forze politiche”.
La coalizione è un concetto suggestivo:
una molteplicità di forze che convergono su un programma;
un’alleanza tra compagini diverse ma concordi.
Sul lato pratico: nella scheda elettorale la coalizione occupa spazio maggiore rispetto ai partiti, quindi ha più risalto, come un titolo di giornale stampato con caratteri cubitali.
Ma la realtà è che nella coalizione le criticità del partito si moltiplicano, si ripropongono per ciascun membro. Una domanda su tutte: gli alleati sono associazioni genuine o soltanto nomi, simboli, scatole vuote? Risposta: quasi sempre le compagini sono mascheramento di partiti personali, partecipano alla coalizione per riservare ruoli preminenti di governo ai rispettivi notabili.
La coalizione è un artificio concepito per le elezioni locali dove i contendenti mirano a sembrare autonomi dagli screditati partiti nazionali.
LA POLITICA DEL TORNACONTO
In conclusione osserviamo che le distorsioni del partito hanno un nucleo essenziale:
1 – eludere la collegialità delle scelte della linea politica e delle persone, e quindi sfuggire al controllo democratico della base;
2 – impedire che il partito sia democraticamente contendibile.
Questi concetti potranno apparire filosofia, ma sono il fondamento di qualunque associazione degna di questo nome, e, in particolare, di un sodalizio che desideri realmente concorrere a determinare la politica nazionale.
In poche parole: si tradiscono i principi della collegialità, del controllo democratico della base e della contendibilità dei ruoli dirigenziali, il partito non è democratico
Tramontate le ideologie, il partito attuale è mosso dal tornaconto. Nessuno lo ammetterà, ma la motivazione di fondo del fare politica oggi è il profitto personale. L’interesse pubblico è obiettivo di secondo piano. Nel Paese in cui le riforme sono difficili, si lanciano slogan per raccogliere consenso immediato, evitando accuratamente l’impopolarità. Preso il potere, tanto vale fare altro debito per dare al popolo l’impressione di vicinanza. Modello perfetto della politica del tornaconto è il PD: vaghe posizioni di sinistra ma ferrea occupazione del potere. La catena di comando del partito trova sempre il modo di collocare i capicorrente nei posti più remunerativi.
Il Movimento 5 Stelle ha attratto consensi con la fanfara dell’onestà, della guerra alla partitocrazia, della democrazia dal basso. Alla lunga è apparso chiaro che quegli slogan erano strumentali e che la sua vera natura è quella del partito personale.
LE FONDAZIONI
Le fondazioni sono uno degli artifici attraverso i quali i partiti sotto occupazione cercano di finanziarsi eludendo la pubblicità dei bilanci.
Per altro verso gli occupatori del partito tendono a dotarsi ciascuno di un proprio sistema clientelare per due ragioni:
- poiché il partito è soltanto un cartello dietro il quale è difficilissima ogni concertazione;
- poiché nel partito sotto occupazione i collettori di finanziamenti hanno un peso specifico maggiore.
LE PRIMARIE
Nelle cosiddette primarie il partito consulta il popolo per la scelta di candidati elettorali. Alle primarie degli iscritti possono partecipare solamente i tesserati, in quelle “aperte” chiunque abbia diritto di voto può esprimere la propria preferenza. Nella narrazione di regime le primarie sarebbero quintessenza di democrazia perché il partito, che potrebbe designare i propri candidati d’imperio, si degna di lasciare la decisione al popolo.
In realtà le cose stanno diversamente. Per comprendere bisogna però partire dall’osservazione del contesto mediatico e culturale italiano dove da decenni i partiti impongono una narrazione di regime e inventano personaggi pubblici. La spartizione della RAI ha una grande importanza a questo proposito, come l’opportunità data a Mediaset di trasmettere per prima sul territorio nazionale. Le reti televisive danno notorietà agli occupatori dei partiti e gli infondono i crismi del comando Ma la politica non si è fermata alle TV, ha pervaso l’editoria, lo spettacolo, l’Università, i premi letterari, creando intellettuali, scrittori, figure pubbliche che fiancheggiano i partiti personali e quelli occupati da consorterie.
Nelle primarie la scelta del popolo è palesemente pilotata perché una persona normale, per quanto di ottima reputazione, difficilmente possiede la notorietà che serve per prevalere in una votazione su larga scala. Anzi un galantuomo solitamente non va alla ricerca di generica fama.
In conclusione, lo scopo delle primarie è ancora una volta propagandistico. Gli occupatori del partito le utilizzano per dare l’impressione del partito partecipato. E se il risultato delle primarie sfuggisse di mano, lo si può sempre truccare.
L’altro tipo di primarie, quelle riservate agli iscritti, possono tendere ad un altro spregiudicato scopo: strumentalizzare gli attivisti suggerendo l’eventualità di essere candidati a prescindere dalla loro istruzione, cultura e competenza, secondo il principio “uno vale uno”.
In entrambi i casi le primarie suonano beffarde quando si comprende che provengono da partiti politici sotto occupazione, lontani dalla Costituzione.
PER UN PARTITO RESPONSABILE
E’ possibile fissare paletti per la nascita di partiti seri e responsabili? Una legge sui partiti potrebbe fissare principi che non diano alla magistratura pretesto per interferire nella politica?
Il partito è fragile, come è fragile la democrazia. Eppure un argine potrebbe proteggerlo da molte distorsioni: l’alternanza. Similmente a quanto stabilito per i sindaci della legge n. 56 del 2014, articolo 1, comma 138, la dirigenza nazionale e regionale del partito dovrebbe essere sostituita obbligatoriamente dopo un certo lasso di tempo. L’avvicendamento renderebbe più difficile l’occupazione del partito, favorirebbe la partecipazione. Quella dell’alternanza sarebbe una norma semplice, riscontrabile in maniera obiettiva, senza indagini che interferiscano nella vita del partito.
Una legge sui partiti, sempre per il criterio dell’alternanza, potrebbe prevedere un limite ai mandati a cariche pubbliche elettive, ma potrebbe pure stabilire regole sulla trasparenza dei finanziamenti, sul nome del partito, sul rispetto dello statuto che la forza politica si è data, sulla pubblicità dell’archivio degli iscritti. Insomma dare linee guida per un partito vero che selezioni la classe politica con responsabilità e sia magari degno di un sobrio finanziamento pubblico.
CONCLUSIONE
La deregolamentazione ha preservato il partito politico italiano da interferenze del potere giudiziario? Solo in parte. Di certo ha lasciato la politica in balia di consorterie e uomini forti.
In Italia la democrazia sfuma a livello di associazionismo politico, prima di arrivare in Parlamento. E se i partiti non sono associazioni autentiche, intrinsecamente democratiche, neppure il governo del Paese sarà democratico.
ANDREA PIRRO
TALEBANI
I Talebani hanno occupato Kabul, la capitale di un paese diviso, arretrato, fortemente conservatore, che dalla produzione dell’oppio ricava metà delle risorse economiche. Questo significa che lo stato afghano fa affari con le organizzazioni criminali di tutto il mondo.
Adesso bisogna vedere se i Talebani riusciranno a governare un paese così complicato, poiché occupare è una cosa, governare è un’altra. Per governare occorre senso dello Stato, una strategia sociale ed economica, competenze, fiducia degli investitori interni e esteri. Ma, date per scontate queste prerogative, occorre consenso popolare, altrimenti non si governa.
Nella civile Italia, dove non s’imbraccia la mitragliatrice, il potere si prende con l’astuzia. L’ultimo prodotto della patria di Macchiavelli è il partito della partecipazione web che, calata la maschera, si rivela strumento per sistemare gli amici. A pensarci bene, questa giravolta era prevedibile, la favola del non-partito aveva un epilogo già scritto se i fondatori del Movimento 5 Stelle volevano il vincolo di mandato in Costituzione.
La giravolta è iniziata in vista delle politiche del 2018, quando i pesci si affollavano abbagliati dai proclami contro il sistema e la partitocrazia. La rete ha cominciato ad essere tirata mettendo in bocca ad un candido Di Maio la storiella del coinvolgimento delle “personalità della società civile”. Poi la candidatura delle tre “eccellenze” femminili al Parlamento UE. Ma eravamo soltanto agli inizi. Ricordo tentativi di spingere assemblee di attivisti verso il sostegno di esterni, ricordo il rimprovero di essere “chiusi”. La verità è che da più parti si è cercato di cavalcare il non-partito emergente.
E infatti in questa estate 2021 è arrivata la presidenza di Giuseppe Conte, un signore che non era neppure iscritto al Movimento. Un plateale scambio: la notorietà dell’avvocato contro un campo inaridito dagli errori del padrone, errori imperdonabili, che un autentico democratico non avrebbe mai commesso, errori pagati da tante persone in buona fede.
E infatti ora l’esterno Giuseppe Conte continua a portare avanti prìncipi come lui candidando la Pavone a sindaca di Milano per il Movimento 5 Stelle, come il PD candida Enrico Letta a Siena (a Siena non c’è un cane degno del Parlamento, i senesi ringraziano il cielo di poter dare un seggio ad Enrico Letta).
Quanti altri partiti saranno inventati per distribuire poltrone ai prìncipi?
L’anomalia della democrazia italiana è questa: da noi non s’imbraccia una mitragliatrice per occupare il potere, da noi si escogitano artifici per acchiappare voti. Poi l’eletto si tramuta in un occupatore che utilizza visibilità, marchette e clientela per conservare poltrona e privilegi. Non ha più il sostegno ideale del suo elettorato, pertanto non può e non gli conviene governare, poiché le riforme incisive possono soltanto nuocere alla sua carriera. Così l’eletto galleggia assecondando l’emozione popolare del momento.
E’ triste dirlo: da decenni la politica in Italia è tutta qui. Per questo non cambia nulla, tranne il debito pubblico sempre maggiore, le leggi sempre più numerose e contorte, la giustizia sempre meno efficiente. I profughi afghani che fuggono da una società arcaica presto scopriranno che l’Italia è un Paese fermo in mezzo al suo pantano.
Una LEGGE SUI PARTITI dovrà dichiarare che il partito ha una funzione d’interesse pubblico, pertanto deve essere organizzato per servire lo Stato e non come un vascello pirata. E chiunque entri in politica dovrà essere consapevole fin dall’inizio che la sua carriera di rappresentante del popolo avrà limiti invalicabili.
Andrea Pirro